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mercoledì 12 ottobre 2011

ERIK SULLIVAN | DAMASK ROSE

Ph by Ikko Narahara
Una porta sbatte mentre sono in bagno, della musica decente o suonata decentemente vi entra a nome di qualche band locale.
Svuoto, su la lampo ed esco.
Scanso nel corridoio due che si baciano, quindi s'apre una sala, davanti ho luce confusa, polarizzata, complice tra forme scure, distese, addosso, danzanti.
Chi ha un accento rauco e chi parla veloce, chi danza tradizionale e chi un ballo a piedi nudi coi capelli rossi e sa di donna che sa di femmina.
Uso prudenza, mi dirigo sino al tavolo, aggiro le spalle degli amici, mi siedo.
Ho bevuto parecchio, tuttavia l'alcool non ha sciolto i piccoli grumi di ghiaccio ingombranti il cervello.

Respiro un altro mezzo bicchiere, con l'orgoglio dell'autosufficienza compongo il suo numero al cellulare.
- Dove sei sparita? Cosa è successo? (Chi ti ha portato via da me?)
- Ma chi sei, ma cosa vuoi? (E' passato troppo tempo in cui sei stato un fantasma, un pensiero lancinante e vago, qualcosa che credevo di aver addirittura inventato.)

Tutto ormai ricorda un fatto di convergenze: il semplice contrario di due che s'incrociano per amarsi oppure odiarsi, comunque per vivere.
Lei fa cadere la linea.
Ed è questa una folata pervasa da una violenza tale da scardinare e triturare quella solidità di cui mi ero appropriato.
E trattengo il fiato, provo fastidio, vorrei spontaneamente voltarmi, per posizionarmi altrove e lasciarmi solo lambire dal nulla.
Ma no, io mi metto a suo favore e ci cammino dentro.
Lo bevo il nulla, ne pago il prezzo sulle labbra, sui denti... whisky amaro in gola.
Poi...

Sono a casa, ora, e ho dormito un po' sul divano, credo.
L'orologio del campanile batte le cinque; del buio s'è già rotto nel cielo per un tratto così netto da confondere.
Meno male che sono ubriaco altrimenti sarei in uno stato talmente pietoso che nemmeno immagino.
Bevo acqua, mi svesto.
Acqua, un getto ristoratore.
Esco in fretta dalla doccia, mi dirigo in camera da letto.
Sono impassibile adesso.
Forse è grazie ai pensieri su di lei.
Senz’altro.
Destinazione emicrania, un passaggio a spirale con la principale mia preoccupazione: domani.

E lei... te...

Scolpita in qualche assurdo divenire.
Appesa a testa in giù?
Sei un predicato, tu

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